Il tuo dolore ha un senso

Al momento stai visualizzando Il tuo dolore ha un senso

Ansia, contraddizione, incertezza, violenza, risentimento… Ci sono molte strade che alterano l’armonia e portano dolore nella nostra vita. Eppure alla fine capiamo che l’ostacolo non è solo nella strada, ma è esso stesso la strada. E se il dolore al ginocchio, ad esempio, ha una soluzione meccanica, al contrario, il mondo psicologico ed emotivo richiede l’auto-indagine e lo sviluppo della coscienza per ristabilire l’equilibrio e ritornare, con maggiore maturità e creatività, al flusso della vita.

Quando il dolore fa la sua comparsa nella nostra vita, la prima cosa che di solito facciamo è indagare sulla sua causa. Qualcosa in noi sa che il dolore adempie la sua funzione di allarme. Compreso questo, il nostro sguardo si mette alla ricerca di quello spazio di errore sul quale possiamo agire per ripristinare il benessere.

L’aspetto del temuto dolore

Tuttavia, trovare questo spazio non è solitamente così facile. Quando ci fa male un ginocchio, dopo aver fatto una radiografia, possiamo, ad esempio, scoprire di avere un legamento infiammato, ma non è lo stesso quando si tratta di un altro tipo di dolore, più intangibile. Spesso il dolore ci arriva da uno spazio di intima contraddizione e conflitto che riflette parti oscure, difficili da illuminare. E in questo caso può apparire resistenza e confusione.

Riconosciamo allora che il nostro sé è una rete di influenze diverse. Sono le voci interne o le subpersonalità che irrompono nel nostro scenario e richiedono attenzione; voci che cercano di aprirsi il passo, di essere curate e di trovare equilibrio. Se una di queste parti – ad esempio l’”io tiranno”, la “madre”, l’”io carente”, oppure l’”io-salvatore”, o l’”io vittima ” – si vede esiliata, non tarderà a gridare per essere riconosciuta, minando il nostro benessere.

Ansia, contraddizione, incertezza, violenza, risentimento… Ci sono molte strade che alterano l’armonia. Alla fine capiamo che l’ostacolo non è solo nella strada, ma È la strada. E se quando ci fa male il ginocchio, la cosa ha una soluzione meccanica, al contrario, il mondo psicologico ed emotivo richiede l’auto-indagine e lo sviluppo della coscienza per ristabilire l’equilibrio e ritornare, con maggiore maturità e creatività, al flusso della vita.

Quando un essere umano porta il lutto della perdita e, anche se cerca di accettarla, il suo dolore persiste e non lo abbandona, non è raro che, guardando le nuvole del cielo, abbia sentimenti di questo tipo: “Che senso ha questo dolore!? Dannata invenzione di far passare l’essere umano dalla dualità delle rose e delle spine! Perché siamo nati così capaci di percepire la bellezza della vita, e poi dover passare attraverso inferni così stupidi e sterili ai quali non riesco a trovare alcun senso?!”. E più siamo svegli, più resistiamo ad accettare l’eventuale sterilità della nostra sofferenza. Ci ribelliamo all’assurdità di attraversare il deserto della nostra anima.

“Accidenti! Quindi è così senza senso? Forse anche che ci capiti un incidente, una morte inaspettata, un conflitto insospettato, un tradimento improvviso, una notizia infelice, un’improvvisa catastrofe?”. E più forte si manifesta il nostro dolore, meno è strano che qualcuno dica: “Perché a me? Chi ha inventato questa follia della vita? Quale mente contorta ha acconsentito a questa ruota di piacere e dolore? Disegno patetico che muove i nostri fili verso sofferenze assurde! Perché dopo il sole di primavera, un’improvvisa grandinata rovina la festa? Quale dannato disegno spegne improvvisamente la luce e sgualcisce la tovaglia?”.

È difficile assumere che, dopo aver vissuto la grandezza della gioia e della tenerezza, dobbiamo sopportare questo incapsulamento in corpi che si dibattono tra desideri e paure. Impotenza e sofferenza sembrano essere inevitabili nel “menù” del nostro viaggio nell’intima Itaca. Quante migliaia di anni ancora durerà il nostro pellegrinaggio verso l’utopia di unità nella fusione con le stelle? Tuttavia,  vediamo, ancora e ancora, che, dopo la tempesta, il dolore si attenua. Arriva il sollievo della luce. Sappiamo che sta sorgendo. Abbiamo toccato il fondo e ancora una volta sorridiamo all’ascensione.

Il mio dolore ha senso?

Una parte di noi non vuole guardare indietro, non vuole evocare l’inferno che è passato e, di conseguenza, è impegnato a cancellare i ricordi dolorosi. Questa stessa parte intuisce che, di nuovo, quella lotteria che gli ha portato sfortuna, ora gli dà fiducia. Chi emerge, trabocca di gratitudine e desiderio di creare nella crescente gioia dell’essere. Possiamo guardare indietro, ma oltre al risolvere ciò che forse non è risolto, non vogliamo ricreare il momento passato, perché non esiste più. Sappiamo che, se rimaniamo intrappolati in quel dolore passato, corriamo il rischio di rimanere invischiati in ciò che se n’è andato, e che allo stesso tempo ci ha minacciato di poter tornare di nuovo.

Dov’è la via d’uscita da questa follia in cui non c’è primavera senza inverno, o inverno senza primavera? Ci siamo forse chiesti se ciò che fa male siano le crepe nelle mura del cuore, quando questo vuole liberare bontà e compassione? Se il dolore è dovuto alla nascita di una nuova identità? Se il dolore sorge come distacco dalla vanità e dall’arroganza del nostro ego ridicolo che, così spesso, ci rapisce?

Abbiamo osservato se per ogni ondata di dolore, il nostro cuore è cresciuto di qualche millimetro e, con esso, il nostro spirito di collaborazione? Se per ogni notte insonne e per ogni lacrima versata è caduto un pezzo della nostra vecchia identità? Abbiamo notato se sentiamo il nostro ego più arreso, mentre emerge un profondo desiderio di servire la vita? Ah! Che bel paradosso! Quel dolore sterile e assurdo che abbiamo attraversato, ora sospettiamo che abbia un senso. Comprendiamo che anche la cecità e la disperazione di non comprenderne il significato sono parte del gioco.

Altrimenti, il dolore sarebbe la metà del dolore. Qualcosa in noi si arrende nel non sapere. Ringraziamo quindi l’Intelligenza della vita che sembra sorridere maliziosa dietro le quinte. “Quanto siamo piccoli!”, ci diciamo sconsolati e allo stesso tempo stupiti. La comprensione improvvisa che, come il lampo illumina la notte, la nostra passata amarezza può essere relativizzata. Succede che il dolore appare come conseguenza della maturazione evolutiva.

Cosa possiamo fare per evitare di nuovo l’arrivo del dolore?

C’era un Buddha che indicò la nobile via di mezzo come via per superare il desiderio e l’attaccamento che causano sofferenza. Attraverso la nobile via di mezzo noi dispieghiamo la temperanza e sosteniamo le nostre emozioni più scomode. Chi lo segue, ampia il grigio che attraversa le estremità ed è determinato a camminare in piena attenzione sul filo del rasoio.

Accade che diventiamo amici del respiro consapevole che, come un ansiolitico naturale, ci permette di tornare al centro. Sappiamo che al centro dell’uragano c’è immobilità. Per sederci in mezzo al movimento, ci colleghiamo con l’interno e, così facendo, viviamo nel momento presente. La vita quotidiana quindi, proprio così come viene, ci offre uno spazio sostenuto di auto-indagine molto motivante per crescere ed espandere la coscienza.

Un giorno troviamo l’impulso di servire la vita. Grazie, diciamo. C’è felicità. Iniziamo a poter stare da soli con noi stessi. Un servizio più grande, meno paura della solitudine quando ci visita. Sappiamo stare in silenzio: nel silenzio interiore nel mezzo del rumore. Ci alleniamo ogni giorno con la meditazione. In questo tipo di allenamento utilizziamo la fiducia nella vita e nelle nostre risorse sempre più profonde. Sappiamo che arriveranno altre contrazioni, ma abbiamo fiducia.

Ogni giorno osserviamo i nostri processi interni in modo più chiaro. Discerniamo e capiamo meglio il Grande Gioco. Constatiamo che la medicina per eccellenza è la crescita integrale. Ad un certo punto, intuiamo che dovremmo coltivare noi stessi per tutta la vita. Il nostro giardino interno dovrebbe sempre essere frequentato. Sembra che non ci sia la possibilità di vivere di rendita. Ogni giorno, dall’essere, facciamo ciò che ci tocca. Ogni giorno ascoltiamo la voce del cuore e attraversiamo il viaggio della vita radicati nella pace che siamo nell’essenza.

Maturità, senso, silenzio.

José Maria Doria

Lascia un commento